Decreto riaperture: la battaglia dei gestori delle piscine per una ripresa delle attività economicamente sostenibile
I 65 gestori degli impianti natatori della regione, coordinati da Uisp Emilia-Romagna, minacciano la restituzione degli impianti alle Pubbliche Amministrazioni
Continua la battaglia dei gestori delle piscine in Emilia-Romagna per arrivare a un quadro delle riaperture che consenta la sopravvivenza economica degli impianti natatori della regione, già minati dal Covid-19 con cali del fatturato pari al 90% negli ultimi 6 mesi di lockdown.
Si tratta di stabilimenti in gran parte pubblici e gestiti da associazioni e società sportive che, alla luce delle indicazioni contenute nel nuovo Decreto sulle riaperture, non hanno ancora chiaro come gestire la riapertura sotto vari punti di vista. I gestori delle piscine lamentano infatti che non ci sono indicazioni normative sull'attività al coperto e sollevano dubbi sui 10 metri quadrati di distanza fra gli utenti per le piscine all’aperto ipotizzati (mentre i protocolli attuali ne raccomandano 7). Norme che, a loro giudizio, rendono impossibile la sostenibilità economica di impianti di prossimità economici che garantiscono salute e danno lavoro.
Per questo Uisp Emilia-Romagna ha coordinato un tavolo di lavoro sull’impiantistica natatoria raccogliendo la voce di 65 impianti, molti dei quali anche esterni al mondo Uisp, in rappresentanza del 60% degli impianti coperti in regione, per una battaglia a tutela di un settore che rischia di pagare gravissime conseguenze in termini economici e di posti di lavoro.
Ecco il nuovo testo sottoscritto da 65 gestori emiliano-romagnoli:
«Sono 147 le piscine di proprietà degli Enti Locali in Emilia-Romagna; di queste 81 sono le piscine pubbliche coperte. La gestione imprenditoriale degli impianti natatori pubblici della regione è svolta per lo più da società sportive o soggetti no profit che, in gran parte, noi rappresentiamo. I contratti sottoscritti ci vincolano al ruolo di servizio pubblico ma ora, a causa del COVID-19, non possiamo svolgere la nostra attività e molte Amministrazioni Comunali proprietarie degli impianti sono restie a rinegoziare un piano economico-finanziario che dovrebbe essere assicurato dall’Ente, non rientrando la pandemia nel rischio d’impresa, come definito dalle normative vigenti.
Dietro alle nostre società di gestione, società sportive e associazioni ci sono persone che hanno fatto di questa difficile missione il loro lavoro, si sono indebitati, hanno investito per migliorare la qualità del servizio. Stiamo parlando di 1.500 lavoratori fissi più un migliaio di stagionali estivi, e di oltre 5.000 istruttori e allenatori che collaborano per assicurare la continuità del servizio e sono cittadini, al pari di tutte quelle persone che godono delle attività sportive fruibili nei nostri impianti.
La gestione delle piscine pubbliche si basa storicamente su tariffe basse con un numero elevato di frequentatori, a fronte di costi fissi molto elevati ma soprattutto poco comprimibili e un’altrettanto elevata complessità gestionale, legata al mantenimento di scrupolosi protocolli sanitari. Questa situazione, impattando con i problemi e le chiusure derivanti dalla pandemia, ha portato l’intero comparto ad una crisi drammatica: sulla base dei dati raccolti possiamo stimare che la perdita per l’intero comparto delle piscine pubbliche coperte si aggiri nel 2020 su circa il 40% in meno del fatturato dell’anno precedente e che, negli ultimi 6 mesi di lockdown, da novembre 2020 ad aprile 2021, esploda al 90% in meno. Il disavanzo medio per ogni impianto in questi 14 mesi di pandemia è pari a centinaia di migliaia di euro. E per delle strutture non profit, al servizio della collettività, la situazione è del tutto insostenibile.
Non siamo avvezzi a lamentarci pubblicamente ma ora abbiamo bisogno del sostegno dei cittadini per difendere i nostri diritti, che coincidono con il loro benessere. In questi 14 mesi ci siamo rimboccati le maniche, abbiamo apportato significative modifiche per rendere i nostri impianti sicuri, abbiamo studiato i protocolli e interloquito con le istituzioni. Abbiamo usufruito degli esigui ristori (meno dell’1% per chi è stato fortunato) e abbiamo accumulato debito.
Noi chiediamo che la riapertura degli impianti sia definita da protocolli di buon senso che garantiscano sicurezza e sostenibilità economica (è ingestibile economicamente aprire un impianto al 30% della sua capienza e con 10 metri quadrati di distanza fra ogni utente) e accompagnata da detrazioni fiscali, sgravi su utenze, blocco delle accise, imposte differite e da una norma che vincoli i Comuni a ridefinire con i gestori i piani economici finanziari con allungamento convenzione e ridefinizione dei costi.
Se non si verificassero le condizioni che abbiamo elencato, non avremo alternative e saremo costretti a restituire gli impianti ed esigere la restituzione degli investimenti fatti. Così, invece di discutere di riaperture e di progressivo ritorno alla normalità, nel nostro caso si discuterà di chiusure definitive e di impianti natatori pubblici destinati a diventare cattedrali nel deserto, luoghi non più sede del benessere delle persone ma cimiteri dell’incuria e dell’abbandono».
Il video della campagna sulla sicurezza degli impianti #PiscineSicure >>